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IL NUOVO FRANCOBOLLO CELEBRATIVO DELLA PASQUA 2020, UNA RIELABORAZIONE FORMATO POSTER DELL’ASCENSIONE DI HEINRICH HOFMANN. LA SANTA SEDE DIMENTICA PERÒ DI RINTRACCIARE E CITARE L’AUTORE, L’ARTISTA ALESSIA BABROW.
La storia del Gronchi Rosa, il francobollo da 205 Lire emesso nel 1961 dalle Poste Italiane il cui nome deriva dal presidente della repubblica in carica al momento dell’emissione (Giovanni Gronchi) e dal colore rosa scelto per la stampa. Venne ritirato dalla vendita il giorno dopo quello di emissione perché errato.
Uno dei momenti di vera crisi per un collezionista è quello in cui intende vendere i propri francobolli.
Crisi che diventa ancor più acuta se l’alienazione viene decisa non dallo stesso collezionista ma dai suoi eredi. Infatti, come è noto, una delle situazioni che si verifica più spesso è quella del filatelista che, dopo aver raccolto per anni i tanto amati rettangolini di carta, è costretto (da un evento del tutto indipendente dalla sua volontà) a lasciarli ai propri eredi. In genere, se fra questi eredi non vi è alcuno che sia mai stato contagiato dal sacro furore del collezionismo, succede che si apra una vera e propria vertenza “post mortem”. Chi è entrato in possesso della collezione del… de cuius può venirsi a trovare in due situazioni del tutto diverse. Qualcuno pensa solo a monetizzare quanto ha ricevuto in eredità e tende a prendere per oro colato le affermazioni sentite, nel corso degli anni, dal collezionista. E, forte della sua totale ignoranza sull’argomento, può essere portato a pensare di avere in mano un tesoro. Viceversa, può anche verificarsi un altro caso sicuramente raro, ma che non deve essere escluso a priori. Alcuni eredi, del tutto irritati dalla passione del loro caro, tendono a sottovalutare ciò che egli ha messo insieme e quindi, appena possono, cedono il tutto (o, peggio ancora, solo i pezzi che valgono qualcosa) al primo che arriva, senza preoccuparsi minimamente di quello che possa essere l’effettivo valore di quella raccolta.
Evidentemente, entrambi questi atteggiamenti sono sbagliati e quindi, per evitare sia che qualcuno s’illuda, sia che qualcuno resti truffato, sarà bene che quanto stiamo per scrivere venga letto con attenzione non solo dai collezionisti, ma anche dai loro potenziali eredi. Comunque, per terminare questa premessa, vogliamo dire che d’ora in avanti ci occuperemo soprattutto di considerare la situazione di qualcuno che, conoscendo abbastanza bene il settore (che è quindi un filatelista) intenda vendere qualcosa.
Eventualmente, sarà compito del collezionista spiegare ai propri eredi il vero significato di alcune affermazioni che faremo e che per il conoscitore vengono date per scontate. A questo punto, per cercare di chiarire il discorso, sarà bene fare una considerazione di carattere generale. Quando si tratta di vendere, nel nostro settore, sarà bene distinguere tra alcune situazioni tra loro molto diverse, che dipendono da almeno due elementi differenti: a chi si vuol vendere e cosa si intende cedere. Esaminiamo il primo punto. E’ evidente che se un privato vuole cedere ad un altro collezionista, il problema è unicamente quello di riuscire a trovare l’interessato. In questo caso, cioè, la cessione può avvenire a prezzi decisamente elevati in quanto il collezionista privato è disposto a pagare cifre che mai potrebbero essere accettate da un commerciante. In una situazione del genere, tanto per fare un esempio concreto che potrebbe riguardare sia singoli esemplari sia intere collezioni, i prezzi di catalogo scontati di una certa aliquota, anche piccola, potrebbero andare benissimo. Quando si vuole vendere a un commerciante, invece, la situazione cambia completamente. In questo caso, infatti, bisogna tenere presenti due elementi che dovrebbero essere chiaramente emersi da quanto abbiamo scritto fino ad ora in questa rubrica. Il primo elemento è rappresentato dal fatto che un commerciante che opera nel settore della filatelia non è un filantropo che agisce in vista del bene comune. Il mercante, in altre parole, deve sempre uniformare il proprio comportamento all’obiettivo di realizzare un utile. Quindi, se quell’acquisto gli interessa, e gli può produrre utili, la transazione sarà possibile; altrimenti, niente da fare. Il secondo elemento da considerare è che qualsiasi commerciante, a causa delle caratteristiche proprie del francobollo (in particolare, a causa della sua improducibilità) è sicuramente sempre interessato ad acquistare ciò che non ha e che il mercato richiede. Per esemplari del genere anche un commerciante è disposto in genere a pagare prezzi equi, cioè correlati, salvo i giusti sconti, a quelli reali di vendita. Morale: qualsiasi commerciante serio e quindi con un’ampia clientela attiva è sempre disposto ad acquistare ciò che, in un accettabile lasso di tempo, è sicuro di poter rivendere a un prezzo che gli assicuri una giusta remunerazione.
Esaminiamo ora l’altro aspetto: cosa si intende vendere, distinguendo tra alienazione di un’intera raccolta e cessione di esemplari singoli, Nel primo caso, ciò che occorre realmente chiarire è se l’insieme costituisca veramente qualcosa che non solo sia degno di essere definito “collezione”, ma che anche sia diverso da ciò che comunemente si trova sul mercato. Chiariamo questo punto fondamentale. Se porto a un commerciante una raccolta completa di francobolli tipo della Repubblica italiana, ho sicuramente in mano qualcosa che può essere definito “collezione”, ma si tratta pur sempre di qualcosa di molto comune. Qualsiasi mercante, per intenderci, ha nei suoi classificatori quasi tutti -se non proprio tutti- i francobolli emessi in Italia dal 1945. Se, invece, la collezione che intendo vendere è qualcosa di diverso (perché è specializzata, perché riguarda non i semplici francobolli ma i loro concreti usi postali e così via) il discorso cambia completamente. E cambia, soprattutto, se quella raccolta è già perfettamente ordinata, montata e descritta (tanto da poter essere tranquillamente esposta). In questo caso basterà infatti trovare un mercante che abbia tra i suoi clienti qualcuno che potrebbe essere interessato ad acquistare un insieme del genere.
Appare a tutti evidente che, in questo secondo caso, se il commerciante è certo di poter rivendere in breve tempo il tutto, così come gli è stato consegnato, la transazione potrà essere effettuata anche a un prezzo interessante. Infatti, in una situazione del genere, il commerciante acquisterà pagando una cifra che è proporzionata a ciò che ritiene di poter ricavare in tempo brevissimo. Nel primo caso, invece, il commerciante non è in realtà interessato a tutto, ma solo a quei pezzi che gli potrebbero servire e che, ovviamente, dipendono da quanto lui già possiede. E qui viene fuori una situazione che, in genere, provoca scandalo nel venditore ma che, se si ragiona un po’, è perfettamente logica. Vediamo di cosa si tratta.
Supponiamo che io voglia vendere qualcosa che, in base ai prezzi di catalogo vale 100. Il commerciante guarda il tutto e mi offre 20. Io, allora, sono portato a considerare questa proposta come particolarmente disonesta. In realtà, cosa è successo? Quel commerciante non è interessato a tutto ciò che io intendo dargli, ma solo ad alcuni pezzi. Pezzi che, per esempio, possono valere 40. Morale: l’offerta del commerciante non deriva dal voler acquistare con lo sconto dell’80% sul catalogo, ma dal fatto che intende comprare con lo sconto 50% ciò che gli interessa veramente. Sconto sicuramente accettabile sul piano commerciale. In altre parole, l’offerta del mercante è perfettamente lecita in quanto commisurata solo ad una parte. Inoltre –per terminare questo argomento- vanno fatte altre due considerazioni fondamentali:
non offrite mai ad un commerciante materiale disordinato, non classificato e magari non in ordine (perché il tempo necessario per ordinare il tutto costituirebbe per quel commerciante un notevole aggravio di costi);
non offrite mai ad un commerciante collezioni che, anche se belle e di valore, non rientrano tra il materiale che interessa ai suoi abituali clienti.
E veniamo, infine, al caso in cui si intenda vendere solo qualche pezzo e non un’intera collezione. In questo caso, soprattutto se non ci si rivolge ad un acquirente privato, bisogna tenere conto di almeno due fattori fondamentali:
i francobolli con le quotazioni minime di catalogo non hanno (come abbiamo già messo in evidenza) alcun valore commerciale: al massimo possono essere venduti a peso a chi realizza composizioni;
anche quando si vendono esemplari di quotazione più elevata della minima, bisogna vedere se i francobolli appartengono a serie con valori “chiave”: cioè pezzi con quotazioni molto più elevata degli altri valori della stessa serie. Situazione che si verifica nella grande maggioranza delle serie commemorative del regno.
In questo secondo caso, ciò che conta veramente per il commerciante è l’acquisto di questi valori chiave, e non degli altri esemplari che, in genere, formano le cosiddette “seriette”. Tanto che, se mancano i pezzi più pregiati, si può dire che gli altri, da soli, non valgano assolutamente nulla.
* Giornalista, collezionista, esperto d’informatica, scrittore. Presidente del Collegio dei probiviri dell’Unione Stampa Filatelica Italiana. Nato a Dire Drua, in Etiopia, il 23/12/1936 si è spento a Milano il 30 luglio 2010.
Nota: i riferimenti al mercato sono relativi al periodo in cui l’articolo fu pubblicato. Oggi molto è cambiato ma ci è parso comunque utile riportare questo scritto poiché in linea generale è sempre valido.
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